Vespa e tacchi alti per Itala, la postina dei monti
Per decenni ha consegnato posta e sorrisi a Roveré Veronese e dintorni, sfidando gli inverni della Lessinia sempre con eleganza
È stata la storica postina della Lessinia. Ha calpestato strade e sentieri ghiacciati per arrivare anche nelle contrade più isolate per consegnare lettere, giornali, avvisi di raccomandate. La sua vita d'altri tempi pare uscita da uno sceneggiato. E invece è vera, fatta di fatiche e gioie che ricorda con invidiabile lucidità.
Non sta bene dire l'età di una signora, però Itala Vinco ci perdonerà per aver osato scrivere che il 6 agosto ha compiuto 93 anni. È un'informazione che tralasciamo subito, concentrandoci su ciò che per lei conta davvero. A cominciare dagli inseparabili tacchi.
Li ha sempre portati e tuttora li calza. È un amore iniziato da ragazza, un vezzo che la identifica: anche nelle bufere di neve lei indossava la scarpa col tacco fine, tra i 10 e i 12 centimetri. La calzatura come elemento della sua divisa da postina, un bel tailleur color carta da zucchero: un tutt'uno con la sua professione. Ma pure un accessorio fondamentale per l'altra sua grande passione: il ballo. «Questi li vogliamo chiamare tacchi? Pff!», sbuffa oggi guardando le scarpe che indossa, col tacco di 6 centimetri considerato troppo basso (ancora rinfaccia alla figlia che quella volta che si ruppe la caviglia in giardino era perché indossava le ciabatte…).
Itala Vinco è così: briosa, sorridente, sempre elegante. Leggera, come i passi danzanti che accenna sul pavimento della cucina. «Sono nata a San Vitale di Roveré Veronese e qua voglio morire», dichiara senza mezzi termini. In paese, e in quelli attorno, la conoscono tutti. D'altronde ha scandagliato per una vita casa dopo casa e snocciola a memoria nomi e vie. «Macché computer, si faceva tutto a mano! Per le raccomandate avevamo un registro cartaceo e chi la riceveva doveva firmare nella casella esatta», ricorda. Spesso erano firme lunghe e incerte di uomini e donne che a malapena avevano fatto le elementari.
Ha sempre svolto questo mestiere, Itala. Dagli anni Cinquanta all'83, quando è andata in pensione. Ma l'ha respirato fin da piccola in casa, perché il papà Faustino Vinco, detto il “cocolo” (i soprannomi erano vitali per distinguere gli omonimi!), oltre a essere un grande suonatore di fisarmonica aveva l'appalto del servizio postale. E Itala sin da bambina accompagnava il papà a piedi per consegnare la posta, finché non gli è subentrata.
All'inizio si occupava della distribuzione a sud di San Francesco fino a San Rocco di Piegara. Più tardi, riorganizzato il servizio e ceduta una zona alla sorella Maria – anch'ella divenuta postina – Itala si è occupata di Roveré, San Vitale e delle contrade di San Francesco. Un lavoro che negli anni è cresciuto con l'apertura di diverse attività e una moltitudine di persone in villeggiatura estiva (erano altri anni davvero).
«I primi tempi con la corriera della sera arrivava il grande sacco di juta con dentro la posta, che smistavamo facendo dei mucchietti pronti per il giorno seguente – racconta –. Al mattino mettevo la mia borsa di cuoio a tracolla e partivo. Prima a piedi, poi in Vespa; nel 1966, ho preso la patente e mi sono comprata una 500, più comoda per gli inverni, anche se guidare col ghiaccio era sempre rischioso».
Ovunque andasse le offrivano un caffè per scaldarsi o una tazza di brodo, quando entrava nelle case o nelle trattorie per una consegna, godendo di un po' di tepore accanto alla stufa. «Mi dicevano: “Che fortunata che sei a fare la postina!”, ma quanto freddo ho patito… E la fame! Provenivo da una famiglia povera, con altri cinque fratelli e sorelle, di cui due emigrati in Australia e in Francia – prosegue –. La fame c'era sempre, però all'epoca non bisognava mostrarsi affamati, mi aveva insegnato mia mamma. Così, quando mi offrivano una fetta di salame, che a casa mia non c'era mai, dicevo: “No no, troppo disturbo, sono a posto...”: intanto vedevo che lo tagliavano e dentro di me ero contenta. Quando arrivavo all'uscio della gente portavo un sorriso, specie nei luoghi più sperduti, e ogni tanto ne uscivo con qualche castagna in mano o un pezzo di pane cotto sotto la cenere, che aveva un gusto buonissimo».
Il suo servizio l'ha sempre svolto con rigore e responsabilità, farcendolo però di allegria. «Quanti scherzi ci facevamo! Mio cugino Faustino, anche lui postino, un giorno mi mise una pietra sotto all'acceleratore dell'auto per burlarsi di me in piazza; io, per contra, gli ho riempito la borsa di sassi», ricorda ancora. Il teatro le piaceva molto: recitava commedie e farse nella sala parrocchiale di San Vitale e ripassava la sua parte camminando da una contrada all'altra.
«C'era poi una giovane che ogni giorno riceveva tre lettere dal moroso chiamato alla naja: le consegnavo la prima, la seconda dopo il caffè e l'ultima gliela sventolavo prima di fare il giro delle case, dandogliela solo dopo un po'», rievoca come fosse ieri.
Da oltre trent'anni è in pensione («Lo Stato con me è cascato male!», scherza) e ogni tanto i ricordi riaffiorano. «Rifarei tutto quanto, anche se è stato faticoso e ci sono stati periodi brutti, come quello della guerra, che non voglio neanche nominare – dice –. Oltre a fare la portalettere mi sono dedicata alla famiglia, a mio marito Nino Erbisti e ai miei figli Loretta e Rolando, e poi sono andata in pensione; qualche volta ho la nostalgia ma sono contenta così». È rimasta nei cuori della gente e negli occhi dei bambini di una volta. «Ho sempre desiderato fare la postina per mettere i tacchi come Itala!», ha confidato una signora alla figlia. Quando si dice lasciare il segno...
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