Suor Cesarina, 50 anni in Tanzania. «E ripartirei subito»
di PAOLO ANNECHINI
«Ho sempre cercato di esaudire i sogni dei poveri»
di PAOLO ANNECHINI
Suor Cesarina Merlo, delle Sorelle della Misericordia, è ospite da qualche tempo nel pensionato dell’Istituto, in vicolo Santa Caterina a Verona, ma la sua testa è ancora là, in Tanzania, dove ha vissuto per 50 anni spaziando nei vari servizi delle suore del beato Carlo Steeb e della beata Vincenza Maria Poloni, soprattutto scuole e pastorale.
– Suor Cesarina, 50 anni, mica poco! Partiamo dall’inizio…
«Sono del ’37, nata nel Trevigiano, e poco più che adolescente ho iniziato a sentire la voce del Signore che mi chiamava a seguirlo. Quando mi sono sentita sicura di questa chiamata, ho fin da subito coltivato il desiderio di andare in missione. Rimanere in Italia mi sembrava di dare poco al Signore. Nel 1964, a 27 anni, qualche anno dopo la professione perpetua, ho fatto la richiesta che è stata subito accolta dalle responsabili dell’Istituto. E così sono arrivata in Tanzania, dove sono stata fino al 2016. La prima cosa che feci fu quella di ringraziare il Signore e i miei superiori per avermi concesso di andare in missione».
– Una volta giunta in Tanzania cosa ha fatto?
«Ho iniziato a lavorare con la gente, mi sono sempre sentita molto bene e ho imparato tanto. La gente dei villaggi era sempre accogliente, generosa, serena. Erano loro che mi davano la forza di andare avanti. Incontravo anziani, ammalati, portavo qualcosa, anche solo un sorriso, una stretta di mano, ma ricevevo il doppio».
– E poi la scuola…
«Sì, mi sono inserita nel mondo della scuola, iniziando dalla materna e poi le elementari. A fianco della scuola c’era l’attività di animazione e di catechesi, accompagnavamo i ragazzi nei sacramenti. Sono stati anni bellissimi: si accompagnavano i ragazzi da quando erano piccoli al momento dell’adolescenza, quando facevano le loro scelte di lavoro e di vita».
– Si ricorda qualche episodio di quegli anni?
«Mendrak era un ragazzino di Dodoma che veniva a chiedere cibo e vestiti a casa nostra, e prima di arrivare da noi rovistava nei sacchi dell’immondizia che trovava lungo la strada. Era poverissimo. Spesso aveva solo una scarpa, tutta rotta, tenuta insieme con del filo di ferro. A vederlo così faceva tenerezza e compassione. Un giorno gli regalai un paio di scarpe. Ricordo ancora la sua frase: “È Dio che me le dona” disse, ma soprattutto ricordo i suoi occhi: era la prima volta che riceveva un regalo! Non poteva credere che qualcuno si ricordasse di lui. E poi l’esperienza con i carcerati».
– Ci racconti qualcosa…
«Al sabato con una consorella andavamo in carcere per passare qualche ora con i detenuti. Si era istaurato un bel rapporto di confidenza, molto franco. Accettavano, alla fine di questi incontri, di pregare assieme. Per me questi erano momenti molto intensi».
– Suor Cesarina, che bilancio si sente di fare della sua esperienza in Tanzania?
«È stata un’esperienza grandissima, se potessi tornerei subito. Qui adesso cerco di vivere con serenità e pace il tempo che mi è dato. La vita diventa bella non per il luogo dove sei, ma per il cuore che ci metti. Io prego sempre per la Tanzania, perché avendo ricevuto tanto da questa gente, mi sento in dovere di essere riconoscente».
– Cos’ha imparato negli anni di missione?
«Ho imparato ad accettare giorno dopo giorno sia il bello che il meno bello che il Signore ci dava. Mi sono sempre sentita orgogliosa di essere Sorella della Misericordia, donandomi e parlando a loro della misericordia. Ho sempre cercato di esaudire i sogni dei poveri». – Cosa sogna un povero? «Di mangiare e di avere il necessario per vivere». – Cosa chiede ai superiori? «Di poter tornare (ride). A tutti dico che mi sento di essere stata una privilegiata a vivere la missione, di aver ricevuto una grazia particolare».
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