Verona mette Paolo VI sugli altari
La Chiesa veronese è particolarmente coinvolta nella canonizzazione di Paolo VI, in quanto il miracolo che la rende possibile è avvenuto per intercessione del Pontefice bresciano nel territorio diocesano, a Villa Bartolomea, alla fine del 2014
È stato un Pontefice di prima grandezza
La canonizzazione di Paolo VI è un evento atteso da tempo da chi l’ha conosciuto e apprezzato. Non è mistero però che chi fra tutti forse l’attende di più, è proprio papa Francesco che da sempre lo porta in cuore e da lui attinge ispirazione. Papa Montini ha esercitato in modo eroico le virtù teologali e cardinali, l’umiltà, la preghiera e l’obbedienza a Dio. Occorreva un ulteriore segnale dal cielo, dopo quello riconosciuto in occasione della sua beatificazione.
Ecco allora la piccola Amanda, di Villa Bartolomea, venuta alla luce per riconosciuta intercessione di Paolo VI. A noi cogliere l’opportunità per entrare più in profondità nell’animo di questo Papa, un gigante, una stella di prima grandezza nel firmamento del Papato. Un Papa amato, avversato, dimenticato, profetico. Viene canonizzato proprio questa domenica, 14 ottobre, a Roma dove per 15 anni è stato Papa, dal 1963 al 1978. Sono gli anni del boom economico, della contestazione, della rivoluzione culturale e sociale, del progressivo abbandono delle espressioni religiose e dell’avanzare inarrestabile del secolarismo consumista.
I tratti biografici di papa Montini si svolgono tra il 26 settembre 1897, quando nacque nella bresciana Concesio, la sua ordinazione sacerdotale, il suo servizio in Segreteria di Stato e in Nunziatura e il suo ministero di arcivescovo a Milano; e il 6 agosto 1978, quando scomparve all’età di 80 anni a Castel Gandolfo. Noi non possiamo dimenticare la profonda amicizia intercorsa tra Paolo VI e il venerabile Giuseppe Carraro, in una singolare stima reciproca.
A pennellate ne tratteggiamo il volto di pastore della Chiesa universale, così come lo abbiamo conosciuto a suo tempo.
Paolo VI è il “Papa del trapasso”, repentino e radicale, tra la cristianità e la modernità, caratterizzata soprattutto dal passaggio dal teocentrismo caratteristico della cristianità dove la stessa vita sociale era imperniata sul senso di Dio e sulle espressioni religiose, e l’antropocentrismo idolatra, incentrato sull’uomo, dimentico di Dio e tutto proteso ad una vita agiata terrena, conquistata senza l’aiuto di Dio. Fu un dramma per papa Montini, ma ha governato con saggezza tale passaggio.
È il “Papa del Concilio Vaticano II”. Solo Giovanni XXIII poteva aprirlo, ma non sarebbe stato in grado di governarlo fino alla sua conclusione. A reggerne le sorti complesse e travagliate e a portarlo a compimento occorreva Paolo VI. Tutti i documenti del Concilio Vaticano II sono firmati da lui: dalle quattro Costituzioni – quella sulla Liturgia, quella sulla Parola di Dio, quella sulla natura e missione della Chiesa e quella della Chiesa nel mondo contemporaneo – fino a tutti i Decreti. Per comprenderne lo spirito basta rileggere i quattro discorsi di apertura delle sezioni conciliari, e il discorso di chiusura, nel quale ha espresso una grande fiducia nell’uomo e nelle potenzialità del dialogo con il mondo; a cui va aggiunta le serie di messaggi all’umanità, tra cui ai politici e agli artisti. E un’infinita serie di discorsi e di omelie, veri capolavori di contenuto veritativo e anche di letteratura.
È il “Papa del dialogo” a tutto campo, con il mondo in ebollizione e in rapida evoluzione, razionalista scientista, dentro la quale sapeva scorgere e discernere i segni dei tempi. Ne è espressione soprattutto la sua enciclica Ecclesiam suam. In questa famosa enciclica ha messo in risalto la volontà della Chiesa di mettersi in dialogo rispettoso con l’uomo contemporaneo, non imponendo dei diktat, ma proponendo la Verità come amica dell’uomo, in termini di razionalità, secondo il principio-aforisma di Agostino: “Per capire, prima devi credere. Una volta che hai creduto, approfondisci il contenuto di ciò che credi con l’intelligenza” (testo latino: Crede ut intellegas. Intellege ut credas).
Per renderci conto di quanto gli stesse a cuore il dialogo con il mondo in funzione di una società dell’amore, come l’ha profeticamente definita lui, cioè come società di pace, basta rileggere il suo discorso all’Onu il 4 ottobre 1965, un vero capolavoro anche letterario: “Gli uni e gli altri; gli uni con gli altri; non l’uno sopra l’altro; non gli uni sopra gli altri: gli uni per gli altri”. Della sua squisita sensibilità e disponibilità al dialogo è testimonianza singolare la sua passione per l’ecumenismo, la cui icona emozionante è il suo abbraccio con Atenagoras. In effetti, Paolo VI è stato un pioniere del dialogo con l’umanità, assetata di Dio, secondo il principio di Agostino, il grande maestro di Giovanni Battista Montini: “Ci hai fatti per Te, e il nostro cuor è inquieto finché non riposa in Te”. E in questa sua avventura ha voluto coinvolgere la Chiesa di cui si sentiva il Pietro storico. La Chiesa, Corpo e Capo qual è Cristo inscindibilmente, è stata la sua passione, come ha lasciato scritto nel suo testamento spirituale Pensiero alla morte.
È il “Papa dell’Evangelizzazione nuova”. È stato il primo Pontefice in uscita, fino ai confini della Terra. Ne fanno fede i suoi viaggi a Calcutta, a Manila, a Medellin (ne ricordiamo l’evento a 50 anni di distanza), in Terra Santa. Dovunque portava l’annuncio entusiasta di Cristo Salvatore. Lo spirito che lo animava nella sua opera di evangelizzazione è inciso nell’Esortazione postsinodale Evangelii nuntiandi del 1975. È la famosa Esortazione nella quale evidenzia che solo i testimoni sono credibili evangelizzatori.
È il “Papa dal respiro universale e dalla visione panoramica”. Specialmente con l’enciclica Populorum progressio ha fatto capire quanto i destini dell’umanità stiano a cuore alla Chiesa che, nella sua maternità, ha uno sguardo profetico sulla Storia che, per essere storia di “civiltà dell’amore”, ha necessità vitale di crescere e progredire insieme, senza eccessivi squilibri economici e culturali.
È il “Papa sofferente fino alla crocifissione morale”. Il tempo del suo pontificato è coinciso con la cultura della contestazione, dell’esodo in massa di preti e consacrati, dell’avanzare dell’ateismo idolatra, dell’uccisione di AldoMoro, che lo ha profondamente intristito. La sua sofferenza ha forse toccato il vertice nell’esperienza della solitudine del magistero, specialmente in coincidenza con l’enciclica Humanae vitae, un inno alla vita umana, che va accolta sempre come dono di Dio, protetta e messa nelle condizioni di svilupparsi al meglio delle sue potenzialità. Anche in questo, profeta del post umanesimo, espressione della cultura attuale, che pretende di affidare all’uomo, che può contare sullo sviluppo della tecno-scienza, il compito di autocrearsi sul parametro dei suoi desideri ondeggianti. Documentando in tal modo che quando l’uomo si allontana da Dio, svincolandosi dalle sue leggi impresse nella natura, si avvia sulla strada della sua autodistruzione.
Infine è il Papa che ha avviato il sistema dei Sinodi come strumento di corresponsabilità ecclesiale. Il Sinodo sui giovani ne è l’attuale e provvidenziale capitolo.
È stato un Papa esigente con se stesso, educato come era alla disciplina in tutti i campi, da quello letterario, a quello relazionale, a quello morale e spirituale.
Non è mancato chi ha fatto notare che papa Paolo VI era segnato da una certa timidezza. Un timido non avrebbe avuto la determinazione di portare a compimento un concilio come il Vaticano II. La sua non era timidezza, ma riservatezza e profondo senso del rispetto per l’interlocutore, chiunque fosse; era delicatezza e sensibilità d’animo, che lo rendevano alieno da ogni forma di invadenza e di scontrosità. Persino la sua calligrafia la dice lunga sul suo animo limpido e umile: una calligrafia a caratteri stretti, come volesse stare nascosto; ma limpidissima, come immersa nella luce.
È il “Papa giusto al tempo giusto”. Ha dato il meglio di sé per la Chiesa e per l’umanità. È stato un ammiraglio sicuro nell’oceano in tempesta. Ha molta somiglianza con papa Francesco, che si riconosce suo discepolo. La canonizzazione non fa che confermare la sua esemplarità di vita di fede e di amore, come sigillo di autenticità della sua santità. Non ci resta che ringraziare Dio di un tale dono.
† Giuseppe Zenti
Vescovo di Verona
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