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Usare bene i soldi

È il momento di ragionare sul lungo termine, altrimenti ci troveremo davanti a un’Italia che non saprà far fronte al suo futuro

Parole chiave: Soldi (5), Economia (128), Ripresa economica (7), Europa (32)
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L’ultima volta che abbiamo avuto un’occasione così, è stato nell’immediato Dopoguerra, con i soldi americani del Piano Marshall che ci permisero di rialzarci da terra. Sarebbe meglio non averne mai, di occasioni così (dopo una guerra o una pandemia…); ma visto che ci siamo, l’Italia ha l’opportunità più unica che rara di ridisegnare il proprio futuro con l’ingente fiumara di miliardi di euro che la sommergerà da qui in avanti.
Arriveranno soldi a palate dall’Europa, cosa che ci permetterà di investire dopo quasi trent’anni di tagli mascherati da leggi “di revisione” e finte riforme. D’altronde la montagna di debiti che abbiamo sul collo non permetteva alcun lusso, e lo sperperare alcuni miliardi di euro con quota 100 e reddito di cittadinanza ci aveva quasi messo fuori dalla porta del mondo finanziario.
Qui s’impongono scelte politiche per cui ci vorrebbero un paio di De Gasperi in attività. Come impiegare tutti questi soldi? S’intende: al meglio, a buttarli e sprecarli siamo capaci tutti. Coprire le falle? Proteggere sperando che il tutto riparta? O ridisegnare l’economia italiana e la società stessa? Guardiamo all’immediato con la speranza del futuro, o al medio-lungo termine?
Si dirà: sia all’uovo che alla gallina, c’è la possibilità di farlo. I soldi in arrivo devono turare la falla di tre mesi in cui tutto s’è fermato. Se non proteggiamo gli italiani, avremo i 30 milioni di disoccupati che gironzolano per gli Stati Uniti con scarse o nulle protezioni. E con le tensioni sociali che queste situazioni fanno esplodere.
Ma la ripresa – se ci sarà – sarà comunque lenta, lascerà vittime e strascichi a lungo. A settembre vedremo l’ematoma della botta presa a marzo. Forse però è il momento di ragionare sul lungo termine, altrimenti ci troveremo davanti a un’Italia che non saprà far fronte al suo futuro. Si ricordi che noi abbiamo già una spada pendente sulla testa: la denatalità.
Qui si fronteggiano correnti diversificate, tra chi – nel mondo produttivo – chiede soprattutto soccorso immediato, e chi invoca strategie lungimiranti. Tra i primi soprattutto la piccola e piccolissima impresa, le partite Iva, platea che è enorme in Italia, che la fa vivere ma non la fa crescere. Perché la crescita è data soprattutto dalle grandi dimensioni, dall’industria e dalla manifattura, dalle esportazioni. Insomma da ciò che traina il resto.
I cugini europei infatti si sono subito preoccupati di salvaguardare l’industria automobilistica, chimica, siderurgica, le costruzioni… mentre noi ci siamo preoccupati di salvare lo zombie dell’Alitalia, mentre di Ilva non si sa più nulla e la Fca è considerata “straniera”. Boh, non si inizia bene.
Che fare, dunque? Grandi infrastrutture come l’alta velocità ferroviaria al Sud, il ponte sullo Stretto, la rete 5G? Rinnoviamo le scuole e gli ospedali? Costruiamo un sistema formativo che guardi al futuro invece che all’Ottocento? Ripensiamo un welfare per una società sempre più vecchia? La politica, una volta tanto, ha di fronte prospettive gigantesche, che non si possono risolvere né con un tweet né con slogan da talk show. E il consiglio è sempre lo stesso: se la nostra classe politica non è certo la prima della… classe, copi da chi è più bravo. Sbirci con attenzione fuori dai nostri confini. Nessuna maestra ci rimprovererà.

Fonte: Sir
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