Se vuoi conquistare un posto fai così
Vademecum per vincere la sfida nel libro di Federico Stefanelli e Alberto Fascetto
“Non c’è una seconda occasione per fare una buona prima impressione”, diceva il poeta inglese Oscar Wilde. Massima vera soprattutto in ambito lavorativo, dove il “come ci si presenta” può incidere parecchio sull’esito di un colloquio. Persino ora che dalle vecchie bacheche cartacee si è passati a quelle digitali e molta parte delle selezioni avviene in forma virtuale, per mezzo di uno schermo.
Lo sanno bene due consulenti che si occupano di formazione e risorse umane e che, con base a Brescia, operano in tutto il Nord Italia, Verona inclusa. Dopo anni di esperienza sul campo, Federico Stefanelli e Alberto Fascetto hanno riassunto in un libro le tecniche efficaci per aiutare i giovani, e non solo, a proporsi in modo più vincente sul mercato (Quel lavoro sarà mio. Tutti i segreti per non farsi rispondere le faremo sapere).
«Ci sono tre modalità per selezionare il personale e moltissimi modi per prepararsi bene e non farsi prendere in contropiede: per il colloquio in presenza, ad esempio, è bene non continuare a guardare l’orologio in sala di aspetto e non attaccarsi al telefonino mentre si attende il proprio turno; quando si entra, poi, e dall’altra parte del tavolo ci si trova davanti a tre o quattro persone anziché una soltanto, è opportuno guardarle tutte mentre si parla, non solo fissando chi ci ha rivolto una domanda», suggerisce Fascetto.
La seconda opzione di reclutamento è quella dei colloqui di gruppo, utilizzata soprattutto dalle aziende medio-grandi che necessitano di fare una scrematura iniziale. «Lì ci si misura con altri pari e vengono osservati i nostri comportamenti, anche quando i selezionatori escono dalla stanza: il consiglio, in questo caso, è di restare sé stessi, mai stravolgere quello che si è, ma evitare di imporsi sugli altri, restando aperti all’ascolto», suggerisce il co-autore.
La terza e ultima frontiera, «esplosa col Coronavirus», è quella dei colloqui on line. «È cresciuta moltissimo e nei prossimi anni sarà la metodologia più utilizzata», prevedono gli esperti. La quarantena ci ha abituato a prendere familiarità con videochiamate e collegamenti da remoto, almeno un po’. «Tuttavia, per sentirci più a nostro agio, oltre a studiare bene la storia dell’azienda e i settori in cui opera, è utile farsi dire quale sarà la piattaforma utilizzata per il colloquio, andandosela a guardare per capire come funziona – consiglia –. Meglio collegarsi dal computer anziché dallo smartphone, che non è un ottimo biglietto da visita; quindi ricordarsi di usare uno sfondo neutro e mettersi in una stanza tranquilla, senza persone che transitano dietro le spalle; infine, guardare fisso in camera, come a cercare gli occhi della persona che ci fa il colloquio: è un segno di attenzione da non sottovalutare».
Si sa: il colloquio, di per sé, è un momento ansiogeno. Per quanto preparati e sicuri, ci si sente comunque sotto esame. E la tensione, specie se la posta in gioco è alta (una famiglia da mantenere, la voglia di progredire nella carriera, la paura di fallire…), si fa sentire. Sostenere l’incontro di persona o tramite video, cambia? «Dipende dall’indole di ciascuno: c’è chi preferisce farlo dal vivo, chi invece vive meglio la distanza: in ogni caso le dinamiche di selezione sono le stesse», risponde l’esperto.
Per arrivare alla chiamata, però, bisogna prima farsi trovare e convincere i potenziali datori di lavoro che si ha un curriculum appetibile. Se un tempo bastavano il passaparola o un annuncio sul giornale, oggi hanno sempre più peso le ricerche via internet. «I modi per cercare lavoro sono tanti e vari: il più facile è iscriversi alle agenzie per il lavoro, che fanno i colloqui on line per le realtà più strutturate e selezionano una prima rosa di profili idonei; poi ci sono i form sui siti web delle aziende, compilabili direttamente con i propri dati». Il vecchio curriculum cartaceo, inviato a pioggia, funziona ancora? «Dipende dal grado di scolarizzazione e dalle aspettative: per i livelli di istruzione medio-bassi o per chi è giovane sì, va bene diffonderlo il più possibile; chi ha una scolarizzazione medio-alta, invece, dovrebbe aggiornare il proprio cv e renderlo il più affine possibile a ciò che cerca l’azienda, aprendosi un proprio profilo LinkedIn», puntualizza Fascetto.
Per i non avvezzi ai social network, LinkedIn è una piattaforma on line gratuita, strutturata come rete sociale professionale: creando il proprio profilo e stringendo contatti con altre figure lavorative, si hanno maggiori possibilità di trovare offerte di lavoro o essere selezionati come possibili candidati.
«Oggi 9 recruiter su 10 lo usano per assumere e, attraverso l’analisi dei profili social personali, decidono a chi fare un colloquio e a chi no: se di persona a un selezionatore bastano 7 secondi per farci uno screening, on line ci impiega 4-5 secondi, guardando quello che abbiamo pubblicato in rete, le foto, i “mi piace” e i commenti che abbiamo lasciato sulle nostre e altrui pagine», evidenzia. La presenza virtuale, secondo gli esperti è indispensabile: va però controllata, «ripulendo i nostri profili social e rimuovendo foto o altri contenuti di dubbio valore professionale, che rischiano di farci fare brutta figura e rovinarci la reputazione on line». Se dieci anni fa, a descriverci era solo il nostro curriculum cartaceo con allegata una fototessera, adesso i social dicono molte (fin troppe?) cose di noi, anche se magari non li percepiamo così pervasivi.
Per destreggiarsi fra le offerte di lavoro attuali è quindi impensabile non avere un minimo di conoscenza informatica. «Apprenderne le basi, se non di più, e avere almeno un’infarinatura di inglese sono due aspetti dati ormai per scontati – conferma il consulente –. Io consiglio a tutti di prendere dimestichezza con la tecnologia e di affacciarsi ai social con le dovute accortezze, sfruttando quello professionale per mettere in luce gli obiettivi raggiunti e le proprie aspettative prima ancora di trovarsi nella situazione di dover cercare un lavoro».
Infine a “fare curriculum” sono sì le capacità tecniche e formative, ma pure le doti umane. «A esse va data una bella visibilità, inserendole nel curriculum vitae perché dicono molto di noi – conclude –. Hobby, sport ed esperienze di volontariato vanno scritte: precisare se siamo stati allenatori di una squadra di calcio o animatori al Grest è un’ottima maniera per raccontare meglio chi siamo».
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