Niente grano, Corno d’Africa alla fame
di NICOLA BENVENUTI
La guerra in Ucraina ha ripercussioni pesanti a migliaia di chilometri di distanza
di NICOLA BENVENUTI
La guerra in Ucraina ha un impatto drammatico sull’aumento dei prezzi del cibo nel mondo. Metà del grano e dei cereali distribuiti dal World food programme (Wfp) per gli aiuti alimentari nelle aree di crisi umanitarie, provenivano da Ucraina e Russia. Una minaccia gravissima per il Corno d’Africa, dove oggi più di 13 milioni di persone tra Etiopia, Kenya e Somaliland affrontano da mesi una carestia, i danni di una prolungata siccità e hanno bisogno di aiuti urgenti.
All’orizzonte la fame e la malnutrizione severa nei bambini, l’ulteriore aumento della povertà in una regione già duramente segnata dalla pandemia di Covid-19 e le devastanti distruzioni delle locuste del deserto. La decisione del governo ucraino di interrompere l’esportazione di prodotti alimentari di base per dare priorità all’approvvigionamento della propria popolazione, unita al blocco russo dell’export ucraino attraverso il Mar Nero, mette ancora più in crisi Africa e Medio Oriente, principali partner commerciali di Russia e Ucraina per quanto riguarda le forniture di grano, olio di girasole e fertilizzanti.
Mons. Giorgio Bertin, francescano, è dal 2001 vescovo di Gibuti e amministratore apostolico della Diocesi di Mogadiscio, ma è anche presidente delle Caritas dei due Paesi, Gibuti e Somalia, dove ha speso molti anni del suo ministero e di cui è profondo conoscitore. «Già da due mesi a Gibuti il prezzo dei prodotti alimentari è lievitato – spiega mons. Bertin –. Il governo ha messo un calmiere, ma i costi hanno continuato a crescere, circa del 20 per cento. In Somalia certamente la situazione è peggiore che a Gibuti, aggravata dalla siccità e dal disordine politico. Questa crisi alimentare e dei prezzi va a colpire una popolazione, soprattutto quella somala, provata da tre decenni di guerra civile e instabilità».
Seppure con le difficoltà legate alla situazione di insicurezza endemica, la piccola Chiesa cattolica non resta ferma: «In Somalia siamo già intervenuti come Caritas a favore di un gruppo di sfollati alla periferia di Mogadiscio: un piccolo progetto di circa 6mila dollari. E ne stiamo studiando altri. Oltre a noi anche le Caritas dell’Irlanda e degli Stati Uniti stanno intervenendo sempre per la Somalia. A Gibuti rafforzeremo il progetto “Carità al quotidiano” che prevede aiuti ai più poveri nel campo sanitario e in quello dei viveri, per la popolazione locale e i numerosi migranti e rifugiati».
Ali Hussein Yassin, conosciuto anche con il nome di Koraado, è testimone diretto della situazione attuale in Corno d’Africa. Lui è responsabile del programma in lingua italiana di Radio Mogadiscio, l’emittente ufficiale della Repubblica Federale somala, che ha ripreso all’inizio di gennaio le trasmissioni nella lingua di Dante, interrotte una trentina di anni fa con il crollo delle istituzioni e l’inizio della guerra civile. «Il 15 maggio è stato eletto il nuovo capo di Stato dopo tanti rinvii e si troverà subito a fare i conti con una difficile situazione economica determinata sia dalla crisi ucraina che dalla scarsità di piogge, fondamentali per le coltivazioni nelle zone rurali», spiega Koraado, che è l’adattamento alla lingua somala di Corrado, nome che il redattore dei programmi in italiano aveva quando frequentava, negli anni Sessanta e Settanta, il collegio Nuova Somalia, tenuto dai padri francescani.
«Noi tutti, compresa la mia famiglia, ci troviamo a fare i conti con questa nuova crisi e risentiamo di quanto sta avvenendo in Europa orientale – sottolinea –. L’olio di girasole è passato da 6 dollari a 19 per un contenitore di cinque litri; un sacco di farina da 25 chili è passato da 9 a 16 dollari, così lo zucchero, il riso e la pasta. Lo stesso vale anche per il gas che è passato da 19 a 35 dollari per una bombola, tanto che in molti siamo stati costretti a tornare a usare il carbone per cucinare».
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