In Europa, con l’euro
di NICOLA SALVAGNIN
Sia lodato oggi chi, qualche tempo fa, si batté per mantenere l’Italia saldamente ancorata all’Europa e alla sua moneta, contro chi folleggiava di Italexit e di no euro
di NICOLA SALVAGNIN
Sia lodato oggi chi, qualche tempo fa, si batté per mantenere l’Italia saldamente ancorata all’Europa e alla sua moneta, contro chi folleggiava di Italexit e di no euro. E non erano in pochi a farlo.
Oggi si vede chiaramente anzitutto l’opportunità di quella scelta: l’Italia sta dentro un sistema ben più grande di lei, con una moneta solida e potente, con una Banca centrale che la àncora proteggendola dalle derive inflazionistiche e dalle speculazioni finanziarie; in un mercato senza confini, senza barriere doganali, senza dazi; in un contesto di libertà totale per i cittadini comunitari di vivere e lavorare qui come in Germania o Spagna.
È arrivata una pandemia che ci ha messo in ginocchio; ma se ci stiamo risollevando (e ci stiamo risollevando: Pil a più 6,5% nel 2021), lo dobbiamo anche a queste positive situazioni. E se sapremo costruire il nostro benessere dei prossimi decenni, l’occasione ci è data dagli abbondanti fondi del Pnrr accordatici dall’Europa (unica perplessità: era proprio necessario richiederli tutti? Sono debito pubblico, solo noi italiani abbiamo chiesto il 100%). Occasione storica non tanto per spenderli – a sperperarli sono capaci tutti –, ma per investirli in un’Italia efficiente, moderna, innovativa, proiettata al futuro.
Ci riusciremo? È una scommessa che di suo raccoglierebbe poche puntate, soprattutto da noi italiani: sappiamo come siamo fatti. Ma la nostra genetica furbizia dovrebbe farci capire che un treno così, passa ogni settant’anni, e non è detto che lo rifarà di nuovo. Treni simili vanno presi al volo, rimanendovi a bordo e silenziando quei mentecatti che vagheggiano sovranità nazionali che, in solido, significano solo: “facciamo quel che ci pare”.
È il mantra che ripete ogni giorno un nostro vicino di casa, il presidente-dittatore turco Recep Erdogan, che impone alla sua Banca centrale continui ribassi dei tassi d’interesse nonostante l’evidenza e la situazione internazionale predichino l’esatto contrario.
Non è questione di disputa dottrinale o di lana caprina: l’aiuto artificioso all’export locale sta creando un’inflazione vera che brucia ogni giorno i redditi e i risparmi di milioni di turchi; allontana gli investitori; svaluta la lira turca; mette in ginocchio l’intera società.
Erdogan fa come gli pare: il conto, come al solito, non lo paga lui. Il conto di certi scellerati slogan di solo tre anni fa, come al solito, non lo avrebbe pagato chi voleva passare dalle parole ai fatti.
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