Il fantasma dell'autonomia
Autonomia regionale, ne hanno chiesta di più la Lombardia, il Veneto e, in parte, l’Emilia Romagna. Nelle prime due ci sono stati referendum consultivi che hanno sostanzialmente dato fiato alla richiesta di più poteri e, soprattutto, più denari da gestirsi in loco. Intanto si fa amuina...
Un fantasma – notevolmente silente – aleggia sopra la Repubblica italiana: si chiama autonomia regionale, ne hanno chiesta di più la Lombardia, il Veneto e, in parte, l’Emilia Romagna. Nelle prime due ci sono stati referendum consultivi che hanno sostanzialmente dato fiato alla richiesta di più poteri e, soprattutto, più denari da gestirsi in loco. La questione in verità è enorme e foriera di grosse conseguenze per l’intero Paese; incredibile come sia – anzi come non sia – dibattuta.
Quanti italiani sanno cosa chiedono le tre Regioni settentrionali? Quali gli addentellati? Cosa dovrebbe rispondere Roma a Milano, Venezia e Bologna? Pare che pure in Parlamento non brilli la conoscenza di quanto richiesto, delle conseguenze economiche, delle scelte da fare.
Eppure la questione è, come detto, vitale. E due gli sviluppi possibili. Il primo consiste nel fare ammuina, alla napoletana. Si chiacchiera, si discute, si accelera e poi si frena e… poi non si fa nulla, o si rinvia a data futura. Chiaro che questa soluzione, per ragioni di convenienza, di orientamento politico, di pigrizia o quant’altro, sarebbe la preferita dai più: l’Italia conosce perfettamente queste modalità di azione.
Ma c’è un ma. Lombardia e Veneto sono due Regioni a guida leghista. Il Veneto poi è il vero bacino elettorale, qui i consensi si aggirano attorno al 50% e sono legati più a discorsi autonomistici che a vicinanze su temi come la sicurezza o l’immigrazione. E a Roma la Lega è socio di maggioranza nel governo.
Tutto facile, dunque? No; infatti da un anno e mezzo si fa ammuina. Perché la Lega nel frattempo è diventata partito nazionale tra i più votati ovunque; perché l’altro socio (i 5 Stelle) raccolgono voti soprattutto al Sud; perché in particolare stanno emergendo le vere spine.
Avere poteri e competenze significa avere soldi per eseguirli. E qui sta il punto. Queste Regioni sono le più ricche e soprattutto quelle che finanziano maggiormente il funzionamento dello Stato intero. Il ritornello è: lasciamo a Varese e Treviso i soldi prodotti da Varese e Treviso. Un po’ come succede nel vicino Trentino-Alto Adige, con risultati notevoli. Quindi autonomia fa rima con più soldi del territorio che rimangono sul territorio; mentre a Roma (e nella Costituzione) si ragiona in modo opposto.
Qui si fronteggiano due questioni inconciliabili: se il Nord smette di sostenere economicamente il resto della nazione, questa rischia di colare a picco così come rischia a medio termine l’integrità nazionale. Che non è un fatto acquisito per sempre, come dimostrano le divisioni tra Slovacchia e Repubblica Ceca e la dissoluzione della Jugoslavia prima, della Serbia poi.
Ma lo Stato non può nemmeno imporre una logica secondo cui il surplus prodotto e/o risparmiato dalle tre, se ne vada a favore di altri. Noi virtuosi e gli altri spreconi? Noi chiudiamo gli ospedali per razionalizzare la spesa e gli altri non hanno nemmeno idea di come e cosa stiano spendendo per una sanità a volte fatiscente?
Il fatto è che la richiesta avanzata dal Lombardo-veneto è decisamente costruita per un’autonomia finanziaria sempre più spinta (tra l’altro del tutto peculiare, creando una confusione amministrativa incredibile già scavalcando il Po). L’attuale situazione è molto differente; lo squilibrio così forte che chi ne uscirebbe penalizzato dall’autonomia concessa, non ha alcuna intenzione di modificare lo status quo. Quindi verrebbe da guardare con un certo interesse all’ammuina. Ignorando però – e qui sta il problema – quei sentimenti di irritazione e di disaffezione stra-diffusi in loco che finora sono stati contenuti dallo scatolone leghista e da proposte istituzionali sempre tramontate negli ultimi vent’anni. Poi che succederà?
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