Dal Kenya per amore: uno sguardo pieno di Malic
di SILVIA ALLEGRI
C’è un mondo intero nel Kenya, Paese dell’Africa orientale noto a tutti per i suoi tesori naturalistici immortalati in fotografie da sogno, ma che è ancora pieno di segreti. A raccontarci del suo Paese, e di chi come lei lo ha lasciato per venire a vivere a Verona, è Malice Omondi.
di SILVIA ALLEGRI
Deserti e montagne, laghi e boschi, savane e oceano che regalano una bellezza mozzafiato. E ancora, popolazioni nomadi e metropoli, religioni diverse, una grande varietà di etnie e di immigrati provenienti soprattutto dal continente sub-asiatico. E due lingue ufficiali, inglese e swahili. C’è un mondo intero nel Kenya, Paese dell’Africa orientale noto a tutti per i suoi tesori naturalistici immortalati in fotografie da sogno, che si conferma da tempo la meta più ambita in Africa dai turisti di tutto il pianeta. Ma che è ancora pieno di segreti, per chi intenda comprenderne più a fondo l’essenza.
A raccontarci del suo Paese, e di chi come lei lo ha lasciato per venire a vivere a Verona, è Malice Omondi.
A Verona col marito
Malice è arrivata in Italia alla fine del 2005 insieme a suo marito, di origini ferraresi. «Ci siamo sposati dopo pochi mesi di fidanzamento, l’ho seguito in Uganda, e dopo due anni ci siamo trasferiti prima in provincia di Trento, poi a Verona. Una città che conoscevo già attraverso i libri di scuola, quando avevo studiato Shakespeare». La breve esperienza trentina se la porta ancora nel cuore, e ci ride su: «Vendevo oggetti natalizi in un negozio a San Martino di Castrozza, vestita da tirolese. Le persone entravano in negozio per guardarmi e farmi una foto. Sono stata la prima commessa nera in quel luogo, mi auguro di aver fatto scuola. All’inizio le persone sono sospettose e diffidenti, poi però si spalanca un mondo davanti ai loro occhi».
Il suo trasferimento in Italia è legato a una scelta d’amore. Un contesto molto diverso, quindi, da quello di chi lascia il proprio Paese a causa di guerre o carestie. «Ho lavorato con i bambini soldato, in Uganda, e ho imparato tantissimo. Si sentivano gli spari in continuazione e vedevo i ragazzini che scappavano alla ricerca disperata di un posto dove poter studiare e fare i compiti senza rischiare di essere rapiti. Ecco, in Kenya tutto questo non c’è, per fortuna».
La comunità veronese
Dopo l’arrivo a Verona, Malice ha preso contatto con altri connazionali ed è nato un gruppo. «Quando siamo insieme si ricrea quell’atmosfera del nostro Paese che a volte manca, quando si è così lontani dalle proprie radici».
E così, l’ultima domenica del mese di solito i kenyani veronesi si incontrano a pranzo, a casa di uno o dell’altro: si portano da mangiare solo i piatti della tradizione, si condivide il pasto. Ma soprattutto si parla soltanto swahili. «Questo momento lo chiamiamo la “ricarica”. Serve ad accumulare energia per i giorni successivi e a vincere la nostalgia». Un problema estraneo a Malice: «Le mie sorelle sono qui, e poi adesso con la tecnologia si abbattono le distanze. Posso chiamare mia mamma e guardarla, ma non solo: spesso lei viene a trovarmi e io torno in Kenya».
I kenyani veronesi sono ancora una piccola comunità di circa una cinquantina di persone. Nel frattempo Malice è diventata mediatrice culturale e offre aiuto e sostegno ad alcune ragazze di origine africana vittime della tratta di esseri umani. Per molti anni è stata anche speaker per Afriradio, nata su iniziativa dei missionari comboniani e legata al periodico Nigrizia, ed è anche la presentatrice del Festival del Cinema africano.
Ma non solo: durante la più recente edizione della Festa dei popoli, l’abbiamo vista insieme ai suoi connazionali in un gazebo dedicato al Kenya, per presentare e raccontare la sua cultura ai concittadini italiani. Insomma, la sua è una vera missione: «Voglio far conoscere alle persone l’Africa senza stereotipi, in tutta la sua affascinante complessità. Negli anni della radio parlavo delle curiosità legate alle diverse culture: proponevo ogni settimana una ricetta diversa, approfondimenti sulla musica, la danza, la cultura e le tradizioni. Non nego che ci siano, i problemi. Ma mi accorgo di come spesso i media tendano a parlare di Africa solo per fatti di cronaca, violenza, guerre. Invece io sono una persona allergica alle cose negative e mi piace far scoprire anche tutto il buono che c’è».
A questo proposito, consiglia sempre ai suoi compaesani di non fare il suo errore: «Se devo sgridare i miei figli, lo faccio in swahili, e così loro lo associano alle mie arrabbiature. È importante invece insegnare loro la lingua, anche se sono nati e vivono qui: rappresenta un patrimonio prezioso».
E infine ci ricorda che, sì, molti kenyani lasciano il loro Paese per venire in Europa e America. Ma forse non tutti sanno che in Kenya c’è la Little Italy: «Specialmente sulla costa è pieno di italiani che hanno scelto di abitare lì. Non stupitevi se un ragazzino vi accoglierà, sulla spiaggia, parlando un italiano perfetto».
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