Dentro il “caffè sospeso” napoletano una lezione di generosità sociale
Se ne consuma uno, ma se ne pagano due a favore di chi non può permetterselo
“Quando un napoletano è felice per qualche ragione, invece di pagare un solo caffè, quello che berrebbe lui, ne paga due, uno per sé e uno per il cliente che viene dopo. È come offrire un caffè al resto del mondo”. Così scriveva lo scrittore, e molto altro, Luciano De Crescenzo (1928-2019), nato nel quartiere partenopeo di San Ferdinando, nello stesso stabile dove un anno dopo sarebbe nato l’italianissimo amico Bud Spencer (Carlo Pedersoli). Proprio nel libro Il caffè sospeso. Saggezza quotidiana in piccoli sorsi (2008) raccolse articoli e citazioni sulla vita nel capoluogo campano, uniti ad aneddoti quotidiani della sua giovinezza e considerazioni sullo spirito napoletano. Posto di rilievo aveva appunto questa tradizionale usanza sociale (in napoletano ‘O cafè suspiso) per cui qualche bisognoso poteva beneficiare di una tazza di caffè, in qualsiasi momento della giornata e senza l’imbarazzo di farlo sapere all’offerente. A dare una spiegazione (almeno plausibile) dell’origine non poteva che essere Riccardo Pazzaglia (1926-2006), altro scrittore e molto altro di origine napoletana, collaboratore dello stesso De Crescenzo e colui che scrisse la canzone ‘O cafè (1958) per Domenico Modugno, il cui verso principale “Ah, che bellu cafè, sulo a Napule ‘o sanno fa’” fu poi ripreso da Fabrizio de André nella sua Don Raffaè (1990). Il paroliere partenopeo sosteneva che inizialmente era il modo per far finire la confusione generata tra gruppi di amici o conoscenti al momento di pagare. Quando ci si trovava a non essersi messi d’accordo e ad aver dato soldi in più, non si chiedevano indietro, ma si lasciava l’offerta a beneficio di qualche sconosciuto che sarebbe passato più tardi. L’effetto sconvolgente per la nostra mentalità economica e le nostre abitudini sociali è che una persona paga due caffè e ne consuma uno solo; questa apparente stranezza ben si armonizza, però, con altri gesti di solidarietà napoletana come il cosiddetto “acino di fuoco”, tipico soprattutto di un tempo: il primo che nella corte, di buon’ora, accendeva il fuoco, portava poi sulla paletta il tizzone ardente alle altre famiglie, evitando un inutile consumo dei fiammiferi. Tutte queste tradizioni e il loro valore etico appaiono oggi in declino ma vengono rilanciate dalla “Giornata del caffè sospeso” fissata dal 2011 ogni 10 dicembre su iniziativa di diverse associazioni culturali. Nel frattempo, questa pratica è stata sperimentata anche in bar (a volte gestiti da napoletani, ma non solo) in giro per il mondo: si può per esempio essere nella fredda Finlandia o sulle rive greche, sotto le nuvole irlandesi o al sole della Spagna e comunque offrire o chiedere un caffè sospeso. Un omonimo film-documentario del 2017, per la regia di Roly Santos e Fulvio Iannucci, mostra come questa tradizione possa essere un’ancora di salvezza e una possibilità di congiunzione anche tra persone molto diverse e lontane. Non per niente l’eroe algerino ‘Abd al-Qader definiva il caffè “la bevanda degli amici di Dio”.
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