Lezioni di “democrazia” dalla Bielorussia angolo d’Europa di stampo sovietico
Nel silenzio generale dell’opinione pubblica, domenica 17 novembre in Bielorussia si sono svolte le elezioni parlamentari. Da 25 anni il Paese è governato dal presidente Aleksander Lukashenko...
Nel silenzio generale dell’opinione pubblica, domenica 17 novembre in Bielorussia si sono svolte le elezioni parlamentari. Da 25 anni il Paese è governato dal presidente Aleksander Lukashenko. Il leader gode di un potere assoluto ed è l’ultimo dittatore rimasto in Europa. Nessun candidato dell’opposizione è stato eletto al parlamento, mentre Lukashenko ha annunciato la candidatura per le presidenziali del 2020.
Ai seggi si sono verificati brogli, episodi di violenza e intimidazioni. Ma la scelta per gli elettori era poca: agli esponenti dei partiti è stata impedito di candidarsi. Come prevedibile hanno vinto 110 deputati fedeli al presidente. In questo angolo del Vecchio Continente pare che il ventesimo secolo non sia mai finito. L’agenzia d’intelligence nazionale si chiama ancora Kgb e i metodi utilizzati sono rimasti gli stessi. Il dissenso viene represso sistematicamente, mentre le libertà e i diritti rimangono un’utopia.
Il parlamento assomiglia a quello dell’Unione Sovietica e vota sempre e solo all’unanimità le decisioni del presidente, senza elaborare proposte alternative. Dal 1996 la legislazione bielorussa limita la presenza di osservatori indipendenti ai seggi: per questo motivo l’Occidente non ha mai riconosciuto la validità delle elezioni. Nel 2016 le autorità bielorusse hanno provato a “giocare alla democrazia”. In cambio dell’annullamento delle sanzioni imposte dall’Unione Europea, hanno permesso l’elezione di due deputati dell’opposizione in parlamento.
A settembre di quest’anno gli Usa hanno annunciato che avrebbero ripreso le relazioni diplomatiche con il Paese per la prima volta dal 2008. L’Ue ha invece adottato un piano per facilitare l’ottenimento del visto Schengen per i bielorussi. Lukashenko sta utilizzando l’avvicinamento di facciata all’Occidente come leva nelle trattative con la Russia di Putin. I due Paesi sono sempre stati alleati “asimmetrici”. Negli ultimi anni hanno dato vita a un’unione doganale e intensificato gli scambi economici e commerciali, mentre Mosca ha iniziato a utilizzare il territorio bielorusso per le esercitazioni militari.
Oggi i rapporti stanno entrando in una nuova fase. Nel maggio scorso Putin ha proposto una più profonda integrazione tra Paesi. La creazione di un nuovo Stato, frutto dell’unione tra Mosca e Minsk, consentirebbe al leader del Cremlino di aggirare alcuni vincoli legislativi nazionali e ricandidarsi alle elezioni presidenziali del 2024. Secondo i media russi, esisterebbe un piano di integrazione che la Bielorussia e la Russia avrebbero intenzione di firmare l’8 dicembre. L’obiettivo è creare una confederazione economica con forte valenza politica. Anche se Lukashenko è restio ad abbandonare il potere, la trattativa è in pieno svolgimento.
Lo spettro dell’annessione è reale: c’è il rischio che, nel giro di qualche anno, si verifichi una seconda Crimea. A questo punto il confine con la Polonia diventerebbe uno dei più pericolosi e militarizzati al mondo. Il silenzio generale, quindi, è ingiustificato: le elezioni di domenica non sono state un fatterello di cronaca, ma un passaggio importante per il futuro della Nato e della pace in Europa.
Andrea Di Fabio
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