Un campione del tennis che ha molto da dire anche ai non sportivi
Ai miei tempi e ai miei luoghi (la Lessinia dove sono nato) non si giocava a pallone. Primo, perché di palloni non ce n’erano, ma soprattutto il problema vero era che, a fare un lancio fuori misura, poteva succedere di doverlo andare a riprendere a fondo valle. Figurarsi il tennis. Roba da siori...
Ai miei tempi e ai miei luoghi (la Lessinia dove sono nato) non si giocava a pallone. Primo, perché di palloni non ce n’erano, ma soprattutto il problema vero era che, a fare un lancio fuori misura, poteva succedere di doverlo andare a riprendere a fondo valle. Figurarsi il tennis. Roba da siori. Qualcuno giocava sull’aia col tamburello, il tennis dei poveri. Per il resto palle, racchette, volée, set, servizio... erano tutti vocaboli di una lingua straniera.
In compenso capivano tutti quando si diceva che uno l’à tirà ’na racheta, per indicare un bestemmione con cui si faceva fronte a qualche imprevisto, con la stessa forza con cui si risponde al servizio dell’avversario, che ti lancia contro la pallina a 100 all’ora.
Tutto questo per dire che il tennis, io fiol de pitochi non l’ho mai praticato e tantomeno seguito.
E allora, perché mai mi trovo a smanettare sui canali della tivù, per andarmi a vedere l’ultima performance degli Australian Open? La ragione sta tutta nelle imprese di un giovane che, di nome, fa Jannik Sinner. Giovanni, per dirla alla nostrana, che se non fosse per il nome alla tedesca, dal cognome potremmo pensarlo proveniente da qualche contrada veneta, dove 858 famiglie lo portano identico e dove altri cognomi potrebbero fare tranquillamente la spola con Sesto Pusteria, dove è nato il giovane Jannik. Penso agli Stiffer, gli Stener, Fornasier… solo per fare qualche esempio.
Se Jannik Sinner ci ha incollato alla tivù non è solo perché gioca a tennis, come ormai non ricordavamo da tempo. È anche oltre il perimetro della sua bravura professionale che bisogna cercare le ragioni di tanto seguito popolare. Prima di tutto perché, intelligentemente, fa di tutto per dirci che lui è un italiano che rappresenta l’Italia. Venerdì scorso, salutando chi si era alzato di buonora (causa il fuso orario) per vederlo giocare, col pennarello ha scritto “Buongiorno” sull’obiettivo della telecamera. Cosa da poco, direte voi. E invece è cosa grande almeno per chi, come la mia generazione, è stata mandata a vigilare i tralicci dell’Alto Adige, quando Klotz e i suoi eredi avevano deciso che noi eravamo i nemici, allenando truppe di nostalgici Kaiserjäger, pronti a battersi contro gli invasori, per liberare il Sud Tirolo e tornare sotto le ali dell’aquila asburgica.
Jannik Sinner non solo ha “cancellato” dal campo il numero uno, il serbo Novak Djokovic (il virgolettato è dello sconfitto), ma ha trasmesso la freschezza di un giovane che non ha tempo di perdersi sui valichi di confine, consegnandoci piuttosto l’immagine di un cittadino del mondo, capace di passare con disinvoltura dal tedesco (sua lingua madre) all’italiano e ad un inglese perfetto, come se il comunicare tra i popoli fosse il primo requisito della modernità.
Dalla sua, Jannik Sinner ha anche il fascino della modestia. Nessun atteggiamento da divo, nessuna bardatura di tatuaggi a nascondere personalità fiacche, in cerca di visibilità, cui ci sta abituando (facendo molti proseliti) certo mondo calcistico e canoro. Lui ringrazia tutti, quasi a chiedere scusa se la vita lo ha messo sullo scranno più in alto. Sorride con una faccia pulita, caratterizzata da due fossette che qualcuno vorrebbe segno di fortuna e prosperità, ma che a noi sembrano avere piuttosto il profumo dell’educazione e della cortesia. Un ragazzo pulito, oltre a un bravo campione, che ci aiuta a guardare al futuro con grande speranza, pensando a tanti giovani come lui.
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