Ex Cathedra
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Il prof. Sante Piccoli del Maffei punto di riferimento formativo

Uno nella vita deve fare i conti con molti padri. C’è il papà che ci ha dato la vita e che fortunatamente, come nel mio caso, coincide perfettamente con l’idea di padre premuroso, sollecito, rispettoso della libertà di crescere dei figli, aperto ad una confidenza intima in uno scambio di affetto infinito, che continua anche ora, a quasi trent’anni dalla sua scomparsa...

Parole chiave: Prof. Sante Piccoli (1), Liceo Maffei (1), Ex Cathedra (34)

Uno nella vita deve fare i conti con molti padri. C’è il papà che ci ha dato la vita e che fortunatamente, come nel mio caso, coincide perfettamente con l’idea di padre premuroso, sollecito, rispettoso della libertà di crescere dei figli, aperto ad una confidenza intima in uno scambio di affetto infinito, che continua anche ora, a quasi trent’anni dalla sua scomparsa. E c’è anche il padre che ha costituito, negli anni della mia formazione culturale, un costante punto di riferimento, una dimensione che poi ha agito dentro di me, lungo tutto il mio percorso da profe. Ho frequentato il Liceo-ginnasio statale Scipione Maffei dal 1968 al 1972. Nel triennio del Liceo, dalla prima in poi, nella sezione C, le lezioni di greco e di latino avevano un marchio inconfondibile: Sante Piccoli (1916-81) per tutti “el Pícoli”, stante la sua cronica riluttanza per le doppie. L’ho già anticipato: per me è stata una figura determinante, anche dal punto di vista professionale. Sono stato l’unico della mia terza liceo di 27 maschi a iscrivermi a Lettere classiche. Ricordo che al momento della scelta glielo chiesi espressamente. E il Piccoli, da uomo avveduto e saggio, mi convocò nel suo studio, a casa sua: un segno che ritenni di grande considerazione. La Maturità era ormai alle spalle, ero di fatto un ex allievo. Mi accolse molto cordialmente, parlammo degli anni trascorsi, della classe, del risultato dell’esame finale e poi con parole molto semplici che custodisco nel mio cuore, il mio professore di greco mi disse: «Sì, puoi fare lettere, sembrano cose vecchie, ma vedrai che avrai ancora tanto da imparare. Ricordati però che devi essere primo in tutto». Una frase che mi turbò profondamente: non avevo mai pensato alla vita come ad una carriera. Questa prospettiva era lontana dalle mie aspettative. La visita si concluse, ci salutammo e mentre mi stringeva la mano, il professor Piccoli mi disse, con uno sguardo d’intesa, come faceva quando scherzava: «Allora, collega, buona fortuna». E mi regalò un ultimo sorriso, quasi un’investitura. Mi iscrissi a Padova, cominciai a frequentare i corsi di Lettere al Liviano, conobbi molta altra gente e credo che il primo frutto, per me trionfale, del magistero del Piccoli nella mia carriera universitaria sia stato quel 27/30 squillante all’esame di latino scritto, considerato un osso duro e passato alla prima botta. Una gioia incontenibile, il superamento di quello scoglio, che mi diede forza ed entusiasmo per proseguire. Poi mi laureai e cominciai a insegnare. Penso che anche il mio modo di fare scuola, a ripensarci ora che la mia carriera è terminata, sia assomigliato, più o meno inconsciamente, alla maniera del prof.  Piccoli. Didattica e insegnamento a servizio della parola affrontata in ogni sfaccettatura possibile, scavata a fondo senza tregua, alla ricerca dell’etimo, della radice che genera il significato e costruisce il lògos, la parola, il pensiero. Proprio così. Quello che affascinava nel Piccoli era lo sguardo complessivo sulla realtà di un individuo: sapeva leggere fino in fondo e il suo giudizio era veramente un punto di partenza per un cammino comune, dove il magister si faceva minister, cioè servitore umile, ma consapevole della sua funzione di docente che guarda lontano. Una lezione di grandissima attualità.

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