L’infanzia e la fanciullezza di Agostino
Nella narrazione della sua biografia indirizzata a lodare Dio misericordioso non inizia dall’età della ragione o da quando può ricostruirla con i suoi personali ricordi. Preferisce riportare anche eventi e situazioni a lui riferiti da persone che l’hanno conosciuto, o da esperienze successive analoghe da lui sperimentate...
Nella narrazione della sua biografia indirizzata a lodare Dio misericordioso non inizia dall’età della ragione o da quando può ricostruirla con i suoi personali ricordi. Preferisce riportare anche eventi e situazioni a lui riferiti da persone che l’hanno conosciuto, o da esperienze successive analoghe da lui sperimentate. È il caso ad esempio del periodo dell’allattamento e dei piagnucolii: “Mi accolsero le consolazioni del latte umano... Allora sapevo solo succhiare e acquietarmi nei piaceri, e piangere per ciò che contrariava la mia carne, e niente di più”.
Come tutti i bambini sorrideva, cominciava a prendere atto dello spazio in cui si muoveva: “Poi ho cominciato a ridere, dapprima nel sonno, poi da sveglio. Questo mi è stato riferito e ci ho creduto... Ed ecco un po’ alla volta avevo la percezione del luogo in cui mi trovavo”. Ma, come tutti i bambini, faceva i suoi capricci e strillava, non solo per attirare l’attenzione su di sé, ma anche per una sorta di vendetta se non era immediatamente servito: “Volevo mostrare le mie volontà a coloro per mezzo dei quali potevano trovare soddisfazione... Di conseguenza, agitavo le membra e strillavo, segni corrispondenti alle mie volontà... E quando non mi si obbediva o perché non si era capito (ciò che volevo) o perché non mi sarebbe stato di giovamento, mi indignavo... e con il mio pianto mi vendicavo di loro”.
Quando Agostino scrive Le Confessioni ha oltrepassato i quarant’anni. Ma rivede lo scorrere della sua vita avendo come punto focale proprio quella sua età. Di conseguenza valuta tutto con quegli occhi di uomo maturo, di convertito, di vescovo. Lieto di essere vivo anche oltre l’età della fanciullezza: “Ed ecco, la mia infanzia è morta da tempo ed io vivo... o Dio, parla a me che ti rivolgo le mie suppliche e sii misericordioso verso il tuo misero”.
Davanti a Dio rivede la sua fanciullezza e ne prova un senso di gioia ineffabile e insieme di gratitudine a Dio: “Io c’ero e vivevo”. E ripensa con stupore a quella fase della sua vita nella quale percepisce la sua capacità di parlare, cioè di comunicare verbalmente con chi gli sta vicino, e non solo di balbettare: “Già alla fine della mia fanciullezza cercavo le modalità espressive mediante le quali poter far conoscere agli altri i miei sentimenti”. Proprio nel riflettere sui più importanti passaggi dell’evoluzione del suo vivere, Agostino si pone una serie di interrogativi che affida alla preghiera confidenziale. Si interroga ad esempio sulla fonte del suo essere e non trova altra sorgiva che non sia Dio: “Donde ha origine questa realtà di essere vivente se non da te, Signore? O qualcuno sarà forse artefice della creazione di sé? O esiste un’altra vena (di vita) che trae origine altrove, mediante la quale l’essere e il vivere possano scorrere in noi, eccetto il fatto che ci crei tu, Signore, per il quale l’essere e il vivere non sono realtà differenti, poiché essere sommamente e vivere sommamente è la stessa cosa? Tu sei sommo (l’assoluto) e non muti; né in te l’oggi trascorre via, e tuttavia trascorre in te, poiché in te sono anche tutte queste cose; non avrebbero infatti vie attraverso cui transitare, se tu non le contenessi”.
A modo di conclusione delle riflessioni che riguardavano la prima fase della sua vita, rimane stupito appunto del passaggio dall’infanzia alla fanciullezza, denominata abitualmente puerizia. E il passaggio sta esattamente nel prodigio della parola vocalizzata: “Procedendo dall’infanzia verso qui (verso l’età che Agostino ha quando scrive) non sono forse giunto alla puerizia (fanciullezza)?... Non ero infatti un infante (incapace di parlare), ma ero già un fanciullo capace di parlare”.
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