Rispolverato un gioiello di duemila anni fa
L’ipogeo di Santa Maria in Stelle si svela al pubblico dopo un attento restauro
Dopo dieci anni, il pantheon di Santa Maria in Stelle si svela al pubblico. Un lungo lavoro di recupero, in via di ultimazione, ha permesso di riportare allo splendore originario gli affreschi dell’ipogeo, posto sotto la chiesa parrocchiale. Si tratta di un gioiello archeologico d’epoca romana, unico nel Nord Italia.
Scendendo le scale che si aprono in un lato della piazza, si entra in un ambiente ricco di storia, legato alle origini della cristianità. Ed è nata proprio in parrocchia la volontà di avviare un gruppo di lavoro che valorizzasse al meglio il sito della Valpantena, divulgandone l’importanza.
Un recupero che parte dal basso
L’ipogeo è di proprietà della parrocchia di Santa Maria Assunta. In un’ottica di fruizione turistica e religiosa, da un paio d’anni il parroco don Paolo Dal Fior, affiancato dal Consiglio affari economici, ha aperto un confronto con alcune realtà diocesane, come l’Economato e l’Ufficio beni culturali ecclesiastici, oltre che col Noi Verona. Fondamentale, fin dall’inizio, è stato l’apporto di tanti parrocchiani, in particolare le nuove generazioni, che si sono messe a disposizione con entusiasmo per favorire la riapertura e la gestione del sito. Oggi il gruppo giovani volontari ipogeo conta una quarantina di guide, molte delle quali con un’età fra i 17 e i 30 anni. «La riapertura ha un significato molto bello ed è sentita dalla gente: si respira la gioia per un’inaugurazione tanto attesa, per la quale siamo davvero riconoscenti – sottolinea il parroco –. Questo è un luogo di storia, d’arte e soprattutto di fede; ci fa molto piacere che tanti giovani ne abbiano colto l’essenza: l’ipogeo è un concentrato di molte cose; qui la parte religiosa e spirituale non è marginale, anzi, interroga chi entra».
I giovani volontari faranno da ciceroni
Il 9 giugno questo scrigno è stato inaugurato, alla presenza del vescovo di Verona, mons. Giuseppe Zenti; lo si potrà visitare a partire dal 16 giugno, ogni sabato e domenica, su prenotazione (per informazioni: www.ipogeostelle.it) . Saranno ammesse venti persone al giorno, per preservare il precario microclima interno. Il percorso durerà circa 45 minuti e per un quarto d’ora si potrà ammirare l’ambiente sotterraneo, in particolare la cella nord, oggetto di un meticoloso restauro. «Grazie all’appoggio di don Paolo abbiamo dato vita a un gruppo affiatato, che ha organizzato incontri e intrecciato una rete con le realtà territoriali, a partire da quelle parrocchiali – illustra Claudia Annechini, coordinatrice del gruppo di giovani volontari e ricercatrice in museologia –. È stata un’occasione di crescita formativa e professionalizzante, visto che molti di noi hanno competenze in vari settori, dai beni culturali alle arti visive e multimediali».
Una chicca riguarda la possibilità di vedere la parte restaurata mediante la realtà virtuale. «Abbiamo scattato più di mille foto in alta qualità per mappare in modo tridimensionale l’ambiente, realizzando una ricostruzione virtuale fotogrammetrica della cella nord – spiega Alberto Valente, referente di Ximula, gruppo di professionisti che a Verona ha già fatto un lavoro simile per la Cappella dei notai, nel Palazzo della Ragione –. Il nostro è un modo per veicolare la bellezza del sito con un’esperienza immersiva, attraverso un visore che permette di ammirare lo splendore del pantheon senza barriere». Una soluzione innovativa che va incontro a chi non può raggiungere per vari motivi i cinque metri sotto il terreno e vedere direttamente i reperti.
Un restauro per preservarne la bellezza
È l’umidità il nemico principale dell’ipogeo. È quasi sempre al 100% e i problemi maggiori si registrano nel periodo estivo, quando lo sbalzo termico tra interno ed esterno si accentua. «L’umidità va a depositarsi sulle pareti, per questo le pitture appaiono bagnate: nel corso dei secoli il carbonato di calcio ha creato un velo che le ha oscurate, rendendole invisibili», rileva il restauratore Claudio Montoli, che ha seguito i lavori con l’apporto dell’ingegner Luigi Antolini, studioso dell’ipogeo dal 1972. Per rimuovere la patina bianca, il tecnico ha impiegato strumenti all’avanguardia, tra cui gli infrasuoni. «Sono riapparsi così i colori, come il particolare blu egizio, l’unico prodotto in area campana e non dalle nostre parti», aggiunge.
Sulla volta ci sono quattro prese d’aria, che si aprono sul pavimento della chiesa soprastante. Ma l’areazione non è sufficiente e il pantheon va continuamente deumidificato, al ritmo di quasi un litro d’acqua ogni ora. «D’ora in poi la manutenzione dovrà essere il punto cardine: questo luogo si è conservato per quasi duemila anni, deve durarne altrettanti – sottolinea l’esperto –. Sono passati più di cinquant’anni dall’ultimo restauro, troppi: è quasi un miracolo che si sia preservato intatto». Il restauro è stato possibile grazie a un contributo statale di 420mila euro; sarà ultimato con il recupero della cella sud, al lato dei resti del fonte battesimale, il primo fuori dalle mura di Verona.
L’ipogeo, infatti, divenne presto un luogo deputato alla catechizzazione della popolazione, nonché meta di pellegrinaggi, specie nel Medioevo. Costruito come acquedotto nel I secolo dopo Cristo, fu ampliato e trasformato in un ninfeo per il culto delle acque da Publio Pomponio Corneliano, nel III secolo. Fu convertito a luogo di culto cristiano dal IV secolo, dopo una visita di San Zeno.
Le due celle laterali risalgono al V secolo d.C. e conservano un ciclo di affreschi su Antico e Nuovo Testamento. La cella nord è quella meglio conservata e racchiude decorazioni di rara qualità stilistica. Ci sono cinque scene bibliche: l’ingresso a Gerusalemme, la strage degli innocenti, i tre fanciulli ebrei davanti a Nabucodonosor e nella fornace, una natività. La cupola presenta una decorazione a effetto tridimensionale; una lunetta raffigura il collegio apostolico, mentre sopra una nicchia campeggia una Madonna in trono, circondata dalle stelle. È da qui che la località ha preso il nome.
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