Le Ceneri ci liberano dalle scorie
di CRISTIANA DOBNER
Tante cose sono andate in cenere in quest'anno di pandemia. Oggi, però, le Ceneri possono e devono scendere sul nostro capo, e dentro di noi. Ecco perché sono un segno di speranza
di CRISTIANA DOBNER
Ceneri. Di questi tempi, così difficili, di ceneri ne abbiamo viste tante e subite ancora di più. Sono andate in cenere le relazioni normali dell’ossatura del nostro quotidiano. Sono andati in cenere i programmi custoditi dentro di sé: di lavoro, di crescita, di conoscenza. Abbiamo visto scorrere davanti ai nostri occhi attoniti bare su bare per andare ad incenerirsi. Ancora una volta ceneri. I giovani si vedono privati del consueto ritmo scolastico e perfino la scuola diventa un luogo agognato. Ceneri sul loro presente e sul loro futuro.
E oggi dovremmo ricevere, come di tradizione per dei credenti, ancora delle Ceneri? Siamo sicuri che il Covid-19 non abbia intaccato, quanto meno per paura, la nostra psiche? Eppure, proprio sì. Oggi le Ceneri possono e devono scendere sul nostro capo e, soprattutto, scendere dentro di noi. Potremmo asserire che di penitenza con il lockdown ne abbiamo avuta abbastanza. Non sarebbe, in fin dei conti, neppure sbagliato… Le Ceneri però che danno inizio al percorso quaresimale, posseggono un’altra valenza, molto precisa e, in fin dei conti, autenticamente gioiosa. Quel cumuletto di ceneri che il sacerdote benedice non sono solo un richiamo ad un inizio, ci donano già la prospettiva del traguardo che ci viene, gratuitamente, donato.
Infatti sono il sedimento dell’ulivo che, nella Domenica delle Palme abbiamo agitato festosamente, inneggiando al Cristo Signore che entrava in Gerusalemme: Benedetto Colui che viene nel nome del Signore, Osanna al Figlio di David! L’ulivo è segno di pace, la colomba lo portò nel becco a Noè e noi sappiamo che l’Altissimo giurò a se stesso che mai più il diluvio, cioè la catastrofe universale, avrebbe colpito l’umanità. L’ulivo è segno della fecondità della terra ma anche del popolo di Israele che rimane fedele all’alleanza, rimane saldo e produce frutto. Certo l’oliva deve lasciarsi spremere, torchiare per produrre quell’olio che per noi è vita, è balsamo di ogni ferita.
Perché allora proprio bruciare quei rami?Non è semplicemente per conservarli, la fantasia umana è capace di escogitare mille e un modo di conservazione. Bruciare non si significa annientare, come non si annienta un corpo nella cremazione. Non significa distruggere e perciò colpire con la dissoluzione. Bruciare e incenerire significa passare al fuoco che purifica, che libera dalle scorie.
Infatti quando quella cenere scende sul nostro capo l’invito è gioioso, sotteso quel canto dell’ingresso del Signore nella Santa Città di Gerusalemme: “Convertiti e credi al Vangelo”. Rivolgiti a Lui, passando di cenere in cenere, con tutta l’umanità ma non lasciandoti deprimere o annichilire ma volgendo il cuore e lo sguardo oltre, portando dentro Colui che, alla fine del cammino quaresimale, riconosceremo come il Signore Risorto.
Allora nulla sarà vano e non saremo ridotti a nulla; le nostre relazioni, per quanto limitate, acquisteranno forza ed energia, i nostri giovani ritroveranno la molla interiore per sfidare ogni difficoltà, i nostri anziani sapranno sorridere e ammonire: guarda più in là, guarda oltre. Non è un paradosso per eliminare i problemi, fingere di non volerli vedere e prenderli in considerazione. È segno grande di vita, non quello della Fenice che nella mitologia rinasce riproponendosi in piena vitalità. Il segno è quello Re vittorioso che, proprio nel segno cinerino, ci fa intravvedere la vita, la gioia della Pasqua, il Volto di Colui che è Risorto e cammina con noi. Basta riconoscerne l’invito: “Convertiti e credi nel Vangelo”.
(Foto Siciliani/Gennari - Sir)
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