Presidi delle veronesi in prima linea «Attacco subdolo che non ci piegherà»
Lo tsunami delle assunzioni all’ultimo minuto, un sistema che regge da molto tempo
Il primo giorno di scuola il preside non si presenta. È andato a rifiutare una cattedra nella scuola pubblica. «Ho rinunciato per tre volte alla chiamata nella scuola statale: lavorare in un ambiente dove posso esprimere i miei valori e dove è assicurata la libertà culturale ed educativa è impagabile». Parola di Francesco Zampieri, preside (anche se il termine corretto sarebbe coordinatore didattico) dell’istituto Lavinia Mondin di via Valverde. Il suo è uno dei diversi esempi di docenti della scuola paritaria che hanno opposto il gran rifiuto a migrare nelle scuole pubbliche (vedi pagina a fianco). Il tema è stato discusso qualche giorno fa nella redazione di Verona Fedele, che ha ospitato un forum di presidi di alcuni istituti superiori cittadini, rappresentanza di un’amplissima fetta dell’offerta paritaria cattolica. Al centro del dibattito è finita la legge 107, quella della Buona Scuola di Matteo Renzi che, con le immissioni a ruolo, ha rischiato di mettere in difficoltà le paritarie, sottraendo insegnanti all’ultimo minuto. Un pericolo che a Verona è stato contenuto dall’organizzazione preventiva e da un grande lavoro di composizione degli organici. Ancora una volta, però, torna a sollevarsi la questione delle paritarie: comode allo Stato perché fanno risparmiare, eppure trattate da Serie B. «Ci stanno completamente ignorando: si pensa solo a sistemare la scuola statale, senza tener conto delle paritarie, ma siamo anche noi Stato! A questa legge manca un aggettivo: bisognava chiamarla “La Buona Scuola statale” – esclama Michele Lauriola, preside dell’istituto Don Bosco, con sede in stradone Antonio Provolo –. Fino a dodici anni fa c’era molta ideologia e l’attacco alle nostre scuole era frontale; oggi il modo di agire è più subdolo: con la legge 62 del 2000 ci hanno acquisiti e adesso ci mettono in croce». I salesiani accolgono 770 alunni, dalla primaria alle superiori, con un’ottantina di insegnanti in organico. «Solo uno ha scelto di andare nella scuola pubblica, 9 hanno deciso di rimanere con noi, grazie alla politica di incentivazione del personale, che coltiviamo con corsi di formazione ed esperienze all’estero – riferisce il preside –. Ma dobbiamo difenderci, per non diventare martiri: la scuola ha un senso se si fa uno sforzo collettivo, dando fiducia ed entusiasmo ai nostri insegnanti». Uno dei nodi della questione è mantenere gli insegnanti abilitati necessari alle paritarie, che possono servirsi di insegnanti non abilitati solo per una quota esigua. A novembre ci sarà un’altra parte del concorso pubblico e qualche professore potrebbe vedersi assegnare una cattedra altrove. «Bisogna compensare il rischio di fuga, che sarà sempre presente, con un contratto di lavoro premiante: noi riusciamo a proporre un’integrazione di stipendio agli insegnanti che potrebbero andare alle statali, ma costituiscono l’ossatura della nostra offerta formativa», evidenzia Umberto Fasol, primo preside laico dell’istituto Alle Stimate di via Montanari. Qui si accolgono 900 studenti, dalla primaria alla quinta liceo (classico, scientifico, linguistico e scienze applicate); gli insegnanti sono 70 e solo 5 hanno deciso di passare dalla paritaria alla statale. «La Chiesa non deve perdere la sfida educativa e soccombere a questa “persecuzione educata”, per usare le parole di papa Francesco», rileva Fasol. Quali sono le prospettive future? Continuare a fare la differenza «mantenendo l’identità cattolica e facendo capire che queste sono scuole di qualità». Ne è convinto Francesco Zampieri, preside del Lavinia Mondin, dove si contano 360 studenti e 48 insegnanti, dalla secondaria di primo grado ai licei (scientifico tradizionale e delle scienze applicate, liceo delle scienze umane, liceo europeo linguistico e giuridico economico). «Abbiamo perso una sola insegnante, gestendo un cambiamento minimo: negli anni passati il ricambio di 2-3 docenti c’è sempre stato – riferisce –. Essere scuola di qualità significa permettere a ogni studente di esprimere al massimo le proprie potenzialità, con un progetto tagliato su misura: noi abbiamo gli strumenti per farlo, dai laboratori alle attività di potenziamento, la scuola statale non ancora». La qualità, insomma, non si pesa semplicemente con i risultati di un test Invalsi. «Di fronte alla certezza del posto pubblico, alcuni professori con 25 anni di insegnamento alle spalle ci pensano su, ma chi lascia le paritarie se ne va in lacrime e non sono lacrime di gioia», aggiunge don Fabio Dal Corobbo, preside dell’istituto Don Nicola Mazza. Nelle aule di via San Carlo sono 500 gli studenti, suddivisi tra medie e licei classico e scientifico. «I nostri insegnanti sono una quarantina, ma abbiamo registrato solo due migrazioni di docenti nei licei – dice Dal Corobbo –. Uno dei due sarebbe voluto tornare indietro subito, perché non sono quei 2-300 euro in più in busta paga a fare la differenza: lavorare in un ambiente di dialogo e aiuto reciproco per molti non ha prezzo». Una situazione più movimentata l’ha vissuta lo storico istituto Seghetti di piazza Cittadella, frequentato da 460 studenti del liceo scientifico sportivo, dei due indirizzi del liceo delle scienze umane e dell’istituto tecnico. «Il nostro organico è composto da 48 docenti, ma quest’anno abbiamo 20 nuovi insegnanti – commenta Mauro Pavoni, preside dell’istituto –. Quasi la metà sono cambiati per effetto della riforma: a lasciare sono stati soprattutto gli insegnanti a metà carriera, che cercavano una sistemazione a lungo termine; un paio, tuttavia, hanno deciso di rimanere nel circuito delle paritarie per una scelta personale e di valori». Nonostante questo «tsunami preannunciato», come lo definisce Pavoni, l’anno è iniziato con l’organico al completo. Le vecchie guardie hanno trasferito ai nuovi arrivati il bagaglio di conoscenze, con grande spirito di condivisione. «Abbiamo selezionato insegnanti con ottime credenziali, che hanno sposato il progetto educativo della scuola – precisa il preside –. La maggior parte ha già esperienza alle spalle, alcuni sono laureati da pochi anni e reduci da varie supplenze; ci vorrà un breve rodaggio, ma li abbiamo formati e guardiamo al bicchiere mezzo pieno, perché potremo beneficiare della freschezza e dell’entusiasmo di queste nuove forze». Certo, resta sempre il nodo delle decisioni governative e lo spauracchio delle convocazioni in corso d’anno. «Lo Stato dovrebbe dialogare un po’ di più con le paritarie nel pensare le strategie scolastiche: sembriamo due aziende diverse – conclude Pavoni –. Senza contare, poi, che le paritarie sono una palestra di formazione dei docenti a costo zero per la scuola statale: chi passa da qui e va alle statali, ha un know how che abbiamo fornito noi. Ma questa è una contropartita che Roma non considera».
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